UN’AVVENTURA IN BRASILE - 2009

 

“Mi chiamo Gionata, sono di Torreglia di Padova, ho 42 anni, lavoro nella vigilanza privata e sto preparando l’ultimo esame per laurearmi in giurisprudenza.

 

Conosco da sempre il Vescovo di Ji-Paranà Don Bruno, amico d’infanzia di mio padre. Ricordo che fin da bambino rimanevo colpito e meravigliato quando, ospite nostro a cena, ci raccontava per ore delle sue espe-rienze di missionario fra gli Indios Bororos, parlandoci dei loro usi e costumi vissuti in simbiosi con una natura aspra ma straordinariamente ricca di vegetazione e vita animale. A posteriori posso inoltre cogliere come Don Bruno si esprimesse in pieno stile salesiano: formare gli “ultimi” affinchè imparando un lavoro potessero socialmente ed economicamente migliorarsi, senza imposizioni di ordine religioso: nel rispetto delle culture e dei territori ancestrali dei nativi sudamericani. Probabilmente non è da escludere che già a quel tempo si stesse diffondendo il principio di informazione cattolica per la Salvaguardia del Creato, teorizzato tra gli altri da Dom Antonio Possamai e poi fatto proprio da Papa Giovanni Paolo II.

Trentacinque anni dopo decido di rispondere all’ultimo fra le decine di inviti che Don Bruno ci rivolgeva perché andassimo a trovarlo in Brasile, realizzando in tal modo il mio sogno fin da bambino: visitare l’Amazzonia e, se possibile, entrare in contatto con gli Indios. Fermo restando che per gli italiani due sono i luoghi comuni sul paese di Sônia Braga: a) per il 90% coincide con Rio de Janeiro e il carnevale; b) per il 10% è lo stato che, in combutta con le multinazionali europee ed asiatiche, sta distruggendo il più im-portante ecosistema del pianeta.

 

Appartenendo alla categoria b) sono dunque partito per il Brasile – nel giugno 2009 – con non pochi sensi di colpa: principalmente quelli dell’europeo che con il suo alto tenore di vita consumistico sta contribuendo al depauperamento di un complesso di biotopi unico al mondo.

Quando però sono arrivato in Sudamerica e ho iniziato a visitare città e regioni quali San Paolo, Mato Grosso, Rondonia, Porto Velho, Ji-Paranà, Amazzonia, Manaus, Rio ecc. la mia arroganza di europeo “informato” che legge i quotidiani e che, sulla carta, ha la presunzione di conoscere come si vive negli altri paesi è stata pesantemente ridimensionata. Ho infatti scoperto che il Brasile è innanzi tutto un gigante, esteso oltre 28 volte l’Italia, abitato da un popolo straordinario - orgoglioso, gioviale, dinamico e consa-pevole delle sue enormi risorse da preservare nonché delle sue potenzialità che sono espressione principal-mente di due fattori.

In primo luogo una cultura complessa, variegata e plurisecolare, di origine indigena, europea, africana ed asiatica. In secondo luogo un progressivo affrancamento dalle ingerenze esterne per cui il Brasile, grazie alle sterminate quantità di materie prime disponibili, è già diventato uno dei protagonisti dello sviluppo economico e, si spera, anche sociale del pianeta. Con un valore aggiunto: il mondo non potrà prescindere dalla necessità di riconoscere ai brasiliani il valore economico-ambientale di quello che il Presidente Lula chiama il barile verde o interruzione/diminuzione del taglio di una foresta indispensabile per tutto il pianeta.

 

Come cristiano devo poi riconoscere che Don Bruno, Vescovo di Ji-Paranà, è una persona straordinaria che mi ha arricchito sia sul piano della fede che su quello umano. E’ come se fosse riuscito a rendere vivo e concreto il Concilio Vaticano II. Solo per citare alcuni esempi: valorizza il ruolo dei laici, con le persone (in primis i giovani) instaura semplici rapporti diretti e amichevoli, non vive con distacco la sua carica ecclesiastica, con diplomazia instaura relazioni con le autorità politiche, ti accoglie con un sorriso fuori dalla chiesa prima della messa, mette la sua casa a disposizione degli ospiti come fossero dei familiari, gestisce con fermezza e creatività gli impegni pastorali ed economici della Curia, sta realizzando una casa di accoglienza per il recupero dei tossicodipendenti, fa rimbombare le pareti della Cattedrale quando, nell’omelia per il Corpus Domini, tuonando contro i rischi del consumismo pronuncia con solennità per tre volte: MATERIA! MATERIA! MATERIA! Ma è poi dolcissimo quanda accarezza e incoraggia i ragazzi che ricevono il sacramento della cresima.

Non riesco con precisione a definire (ma è poi necessario?) una persona di talento complesso come Don Bruno: sicuramente il suo carisma più evidente è di essere sé stesso, diretto e semplice, non indossando quelle “maschere” che il ruolo di prelato talora impongono. Senza contare che il suo impegno è costante e, data la vastità della diocesi, estremamente faticoso. Per fare un paragone: in una parrocchia delle mie zone una persona stava morendo e i familiari si sono recati in canonica per avvisare della necessità che fosse impartito il sacramento dell’estrema unzione. Inutilmente hanno suonato alla porta: era mercoledì, il giorno di riposo del parroco e del cappellano i quali, “timbrato il cartellino”, se ne erano andati.

Prego pertanto la Madonna perché preservi Don Bruno così per molti e molti anni ancora.

 

Un’altra straordinaria perla trovata nel corso del mio viaggio è stata la conoscenza delle maestre dell’asso-ciazione “Il grilo falante”; come volontarie gestiscono un asilo in un quartiere povero di Ji-Paranà. Sono persone che hanno studiato, preparate, che avrebbero potuto aspirare a posizioni lavorative di rilievo ma che invece hanno scelto, aiutate dalla Diocesi e dalla comunità italiana di educare e preservare il futuro del Brasile, ovvero i bambini, sopperendo ai limiti economici e/o politici dei servizi sociali pubblici.

Queste donne vivono il Vangelo quotidianamente: “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dob-biamo dare la vita per i fratelli” (Gv. 3,14-18), “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,31-46).

Ma in questa terra è ancora vivo e attuale l’esempio di vita rappresentato dal martirio del padre comboniano Ezechiele “Lele” Ramin.

 

Ho poi conosciuto suor Maria Conceição che vive nel villaggio indio del Povo Zorò, in Mato Grosso presso il Rio Branco. Grazie a lei, in qualità di “ambasciatrice”, siamo stati accolti per una giornata dagli Zorò che stavano preparando una festa tra varie tribù. Mi è stata offerta una bevanda dal sapore un po’ acido conser-vata all’interno di un tronco cavo e ho notato negli sguardi delle persone del luogo una sorta di compia-cimento per il fatto che “avevo avuto il coraggio” di bere insieme a loro. Sono poi rimasto colpito dal loro quasi maniacale interesse per la pulizia, sia degli alloggi che delle persone che si lavavano continuamente.

Sono esseri umani come noi che la storia, fatta da altri uomini che si credevano superiori, ha decimato e umiliato per secoli. Ma nonostante la malvagità umana subita ho potuto riscontrare in queste persone un senso di dignità e di appartenenza alla propria cultura che sono comunque rimaste.

 

Per tornare dunque alle motivazioni iniziali del mio viaggio, visitare l’Amazzonia, si è verificato una sorta di paradosso. Altrimenti detto: ho visitato la foresta, ho visto gli animali (boto, lamantino, anguilla elettrica, colibrì, opossum, caimano ecc.) ma questo non è stato l’elemento fondamentale dell’avventura.

Il tesoro più grande che ho scoperto in Brasile è stata l’umanità diversificata dei brasiliani. Umanità che mi ha arricchito come persona e come cristiano a tal punto che ancora oggi, a distanza di mesi, i miei amici e conoscenti sono “in fila” per ascoltare i racconti sul Brasile e vedere il film che ho quasi finito di montare. Probabilmente sono colpiti dall’entusiasmo con cui narro le mie esperienze. Entusiasmo che sicuramente non è mio ma che mi è stato trasmesso dalla gioia di vivere di tutti i brasiliani che ho incontrato.

 

Grazie Brasile, Grazie Dom Bruno”

 

Gionata Ceretta